Confagricoltura Alessandria
05-05-2016
Agricoltori in piazza lanciano l'allarme
chiuse oltre 310mila aziende dal 2000, serve cambio di passo
Agricoltori in piazza lanciano l'allarme

Agricoltori in piazza lanciano l'allarme

Agricoltori in piazza lanciano l’allarme: chiuse oltre 310mila aziende dal 2000, serve cambio di passo

In migliaia hanno manifestato a Roma, Bologna e Catanzaro con Cia, Confagricoltura e Copagri sotto lo slogan “Ei fu…siccome immobile”. Servono risposte urgenti contro lo stallo istituzionale sui problemi del settore: gli agricoltori aspettano ancora 600 milioni di euro di pagamenti comunitari e nel frattempo scontano una burocrazia elefantiaca che costa 4 miliardi l’anno e prezzi sui campi anche dimezzati rispetto all’anno scorso. Nel frattempo l’embargo russo ha già fatto perdere al comparto 355 milioni di euro e il consumo di suolo continua a ritmi di 56 ettari al giorno. “Ora basta, bisogna fare e non annunciare”.         

All’insegna dello slogan “Ei fu…siccome immobile”, Cia, Confagricoltura e Copagri hanno manifestato a Roma, Bologna e Catanzaro chiedendo risposte precise e immediate su una situazione di grave rischio per la sopravvivenza delle aziende.

“Vogliamo produrre cibo di qualità e non carte in quantità”. E ancora: “Agricoltori zero euro” e “Le vacche non mangiano chiacchiere”. Con cartelli come questi migliaia di agricoltori sono scesi in piazza per sottolineare lo stallo istituzionale e ottenere interventi per fronteggiare le emergenze del settore.

Hanno aderito anche gli agricoltori di Alpaa, Uci, Ugc e Aic “armati” di bandiere e palloncini, per lanciare un grido d’allarme: dal 2000 a oggi hanno chiuso oltre 310 mila imprese del settore primario.

Un numero enorme che può salire ancora vertiginosamente se non si mette mano ai tanti problemi “in campo”: i ritardi nei pagamenti comunitari, la burocrazia asfissiante, i prezzi all’origine in caduta libera e le vendite sottocosto, le incognite dell’embargo russo, gli investimenti bloccati, la difesa del “made in Italy”, la cementificazione del suolo, l’abbandono delle aree rurali, i danni da fauna selvatica.

Gli agricoltori, quindi, sono in credito. E non solo dei 600 milioni di euro circa che ancora aspettano a liquidazione della Pac 2015 e dei contenziosi del 2014, ma soprattutto di una mancata attenzione del governo verso un settore vitale del Paese che impegna oltre 2 milioni di lavoratori, fattura con l’indotto oltre 300 miliardi di euro e sui mercati stranieri macina esportazioni da record con quasi 37 miliardi realizzati solo nell’ultimo anno.

Eppure, oggi come quindici anni fa, il comparto continua a scontare questioni non risolte, dalla burocrazia ai prezzi sul campo, che schiacciano inesorabilmente il reddito, impedendo innovazione e sviluppo. Basti pensare che solo la macchina amministrativa -tra ritardi, lungaggini, disservizi e inefficienze- sottrae all’agricoltura 4 miliardi di euro. Ogni azienda è costretta a produrre ogni anno 4 chilometri di materiale cartaceo per rispondere agli obblighi burocratici, “bruciando” oltre 100 giornate di lavoro. Per non parlare del crollo vertiginoso dei prezzi alla produzione e della forbice esorbitante nella filiera tra i listini all’origine e quelli al consumo, dove in media per ogni euro speso dal consumatore finale, solo 15 centes

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