Vista l'attualità dell'argomento Pac, AGRICOLAE ripropone di seguito un articolo a firma di Ermanno Comegna dello scorso 11 dicembre
Vista l'attualità dell'argomento Pac, AGRICOLAE ripropone di seguito un articolo a firma di Ermanno Comegna dello scorso 11 dicembre 2020:
In questi giorni, il dibattito sulla riforma PAC post 2020 ha fatto emergere una contrapposizione tra due diverse visioni. Da una parte c’è quella che tende a sostenere il settore agricolo, tenendo conto dei vincoli ambientali e della necessità di migliorare le prestazioni in questo campo. Dall’altra c’è la visione che enfatizza il ruolo della sostenibilità, delle biodiversità e della lotta al cambiamento climatico, mettendo in secondo piano la necessità di assicurare un livello adeguato di produzione di alimenti di base e di garantire un reddito equo a favore delle imprese.
Mai come nell’attuale ciclo di riforma della PAC, le aspirazioni degli ambientalisti hanno avuto un rilievo così importante come sta accadendo in questi mesi. In passato, l’enfasi era centrata soprattutto sulla necessità di salvaguardare il reddito degli agricoltori, tenuto conto dei vincoli internazionali e di una diffusa ma non prevalente sensibilità ambientale.
Oggi, tali temi hanno conquistato la ribalta, non solo per la volontà politica dell’Unione europea, fermamente orientata ad applicare l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e la collegata strategia del Green Deal, ma anche per un attivismo ed una capacità di analisi, di proposte e di lobbying portate avanti dalle organizzazioni ambientaliste europee, in modo qualificato e determinato.
Sotto tale profilo, durante l’attuale ciclo di riforma della PAC, c’è stato un salto di qualità e le istanze del mondo ambientalista sono diventate decisamente più pressanti, con una maggiore capacità di incidere sulle scelte politiche, come è avvenuto, ad esempio, la scorsa primavera, quando la Commissione europea voleva rimandare la pubblicazione delle comunicazioni del Farm to Fork e della Strategia sulla Biodiversità, ma è stata costretta a desistere, anche per effetto delle proteste del mondo ambientalista.
Un’altra dimostrazione di efficacia è arrivata a fine ottobre, quando molte ONG hanno rivolto feroci critiche all’operato del Consiglio dei ministri AGRIFISH e del Parlamento europeo che avevano appena finalizzato la posizione comune sulla riforma, suscitando reazioni spaventate ed intimorite da parte di molti politici. È stata formulata l’esplicita accusa di annacquamento delle iniziali proposte della Commissione e di impiego della pratica del “green washing” e cioè la spruzzatina di verde sui soliti vituperati strumenti della PAC.
Sicuramente i prossimi mesi saranno cruciali per arrivare ad un compromesso politico tra le tre Istituzioni comunitarie, ed in tale contesto le istanze ambientaliste saranno portate avanti senza alcun indietreggiamento, per cercare di orientare le decisioni finali verso una politica agricola capace di assicurare prestazioni ambientali concrete e misurabili.
Il problema è che le proposte formulate dagli ambientalisti sono dirompenti, perché prefigurano il completo smantellamento della PAC, per essere sostituta con una politica del tutto incentrata sulle prestazioni ecologiche, piuttosto che sulla regolazione dei mercati agricoli e sulla stabilizzazione del reddito dei produttori.
È evidente che un esito di questo genere non può essere preso in considerazione per diverse solide e pragmatiche ragioni, prima fra tutte la necessità per l’Unione europea di poter contare su un sistema agricolo diffuso sul territorio, efficace, efficiente ed in grado di soddisfare ad un livello elevato la domanda interna e internazionale, rispondendo alla d