La Corte di Cassazione con una recente ordinanza, la n. 13185/22, ha contribuito a mettere ordine riguardo al pagamento dei contributi INPS (CAU)
La Corte di Cassazione con una recente ordinanza, la n. 13185/22, ha contribuito a mettere ordine riguardo al pagamento dei contributi INPS (CAU) per i lavoratori agricoli avventizi, materia soggetta a una pluralità di normative, contrattuali (C.C.N.L. e C.P.L. operai agricoli) e di legge (legge 388/2000, D.lgs. 368/2001, D.Lgs. 66/2003 e Direttive Comunitarie 99/70/CE e 2000/34/CE).
Il contenzioso su cui si è pronunciata la Corte derivava dall’interpretazione dell’INPS secondo cui, ai fini del calcolo dell’imponibile contributivo, la retribuzione degli operai agricoli a tempo determinato dovesse essere rapportata ad un orario normale di 6,30 ore settimanali e non alle ore effettivamente lavorate dal dipendente, anche se di numero inferiore.
La Cassazione, rifacendosi al C.C.N.L. di settore, ha invece ritenuto che l’orario di lavoro stabilito in 39 ore settimanali, pari a 6,30 ore giornaliere, costituisca semplicemente un limite massimo, senza riscontrare alcuna previsione circa un minimo giornaliero, ciò in accordo anche ai principi contenuti nelle direttive comunitarie che disciplinano esclusivamente l’orario di lavoro massimo, ma nulla dicono riguardo a quello minimo.
Pertanto, i contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro agricolo sui corrispettivi corrisposti agli operai agricoli a tempo determinato devono essere calcolati esclusivamente sulle ore effettivamente lavorate, salvo il caso in cui il datore di lavoro abbia disposto la presenza in azienda dell’operaio per poter riprendere le attività dopo un’interruzione dovuta a causa di forza maggiore (per esempio intemperie o motivi organizzativi o produttivi che momentaneamente impediscono la prestazione).