07-09-2011
Vendemmia 2011 - considerazioni appassionate dal viticoltore dellÂ’anno
E sì, me lo aspettavo, il tormentone dei pronostici sulla prossima vendemmia è arrivato, per di più, non al solito vignaiolo piemontese di periferia, ma al viticoltore dell’anno!
Vendemmia 2011 - considerazioni appassionate dal viticoltore dellÂ’anno
E sì, me lo aspettavo, il tormentone dei pronostici sulla prossima vendemmia è arrivato, per di più, non al solito vignaiolo piemontese di periferia, ma al viticoltore dell’anno! E allora esponiamo non al “gossip” ma a chi ama il vino ed i suoi contorni, il mio pensiero sulle “previsioni” vendemmiali.
Solitamente dichiaro che tutte le vendemmie sono grandi, almeno nell’attesa, esattamente, come per una madre è grande l’attesa del nascituro, senza dimenticare le successive attese e pretese.
La metafora ci sta tutta in quanto senza ottimismo non ci sarebbe l’entusiasmo per affrontare e accompagnare una vita, sia essa umana che artistica. Forse risulta più corretto riferirsi al mondo imprenditoriale ma non cambia nulla. Ovvio, il vino lo si produce per affrontare il mercato ed allora la risposta diviene retorica, scontata, non credibile, inutile, ovvero tutte cose che non mi appartengono; ritengo che tra i produttori sarebbe da criticare chi, almeno a fine agosto, non esprime ottimismo sulla futura vendemmia dicendo (e questa è l’unica sciocchezza in questo scritto che mi permetto) che quella in corso sarà la miglior vendemmia del… 2011.
Non si può generalizzare la qualità di una vendemmia, di un percorso di 11 mesi di pensieri, lavoro ed investimenti in una bugia. Si può solo dividere le vendemmie in due: con la polvere (ottime) e con il fango (sicuramente meno divertenti, ma non meno buone). A buon intenditor...
Non si possono generalizzare, nemmeno a livello aziendale, le stelle alla vendemmia, in quanto è rarissimo trovare aziende con un solo vitigno o al limite proprietà con condizioni edafiche uguali o almeno simili su tutta l’estensione aziendale. E allora di che parliamo in proiezione vendemmia? Direi di partire dal primo ingrediente dell’era moderna per ottenere il vino, l’antropologia.
Perche non l’uva? Semplice, perchè fino alla fillossera (1880-1930) era il territorio che decideva l’uva da coltivare; oggi ci sono i portinnesti, i viaggi, le mode, il mercato, le decisioni supreme per dare senso enologico a macrozone in Italia dove nel secolo scorso la viticoltura non era nemmeno marginale, lo stravolgimento ampelografigafico dell’enotria terra, che comincia a dire la sua, nella buona e nella cattiva qualità… Sì, la qualità.
Cos’è la qualità? È produrre uve ad alto tenore in zuccheri? È produrre vini con poca acidità? È porre sul mercato bottiglie a prezzi alti e magari venderle tutte? È dichiararsi e farsi certificare biologici? È utilizzare bottiglie pesanti in vetro trasparente, etichette firmate?
A mio avviso la qualità è riuscire a portare un pensiero, per caso, iniziato 4000 anni fa in tutta Italia, in giro per il mondo, ovviamente un pensiero etico. L’etica nel vino non è un dogma, è dire quello che si fa, fare quello che si dice; sarà poi l’interlocutore commerciale o il consumatore a fare la sue scelte. Dagli anni ‘60 l’agricoltura è stata stravolta, si e passati quasi tutti a coltivazioni specializzate.
La mia azienda negli anni ‘60 gestiva oltre la vite, la cantina, la frutta, i campi e le rotazioni, la stalla.
Oggi con le risorse della famiglia sarebbe antieconomico perseguire quel modello; se si vuol cercare di dare un senso al lavoro di chi ci ha preceduto, continuare a coccolare il consumatore finale ed avere l’ufficio marketing sul sedile del trattore è indispensabile concentrare sforzi intellettuali, economici e produttivi sulla monocoltura. Una scelta del genere, con l’aria che tira a livello economico mondiale, potrebbe far rimpiangere l’agricoltura degli anni ‘60, ma indietro più non si torna: i polli, il maiale, l’orto, due alberi da frutta, una vacchetta per il latte, i conigli sono un lusso che pochissimi si possono permettere.
La vendemmia sarebbe migliore se, invece di ricorrere certe chimere, si collaborasse con altri artigiani del gusto radicati sul territorio che ci appartiene per posizionare i loro prodotti su mercati che gli riconoscano la dignità economica, di imprenditore e di uomo; il nostro vino con il salame, con l’orto