Siamo reduci dal vivace ed interessantissimo convegno del 27 febbraio scorso organizzato da Confagricoltura Piemonte che ha visto la partecipazione di un eclatante compagine di ospiti e relatori quali l’assessore regionale all’agricoltura Sacchetto, il ministro delle politiche agricole Catania il presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo De Castro ed il nostro Presidente confederale Guidi. Voglio sottolineare che è apparsa significativamente concorde l’intera serie di interventi che hanno evidenziato, praticamente all’unisono, i problemi dell’agricoltura europea e di quella italiana con le loro emergenze ed hanno delineato le strategie per contenere la deriva del settore, riconoscendone tutti l’estrema difficoltà di applicazione.
Tutti, nel rispetto dei propri ruoli, hanno concordato nel definire le proposte della Commissione europea come superate, non al passo coi tempi e figlie di una visione dell’agricoltura vecchia di almeno un decennio risalente a quando si pensava che la globalizzazione, con l’apertura sempre più profonda dell’Europa ai mercati mondiali, avrebbe consentito la soluzione progressiva dei suoi problemi di approvvigionamento o di eccedenze con il ricorso all’importazione ogni volta che la produzione interna si fosse rivelata non concorrenziale o inadatta alla realtà continentale. Questo approccio si è rivelato profondamente sbagliato. Le mutate condizioni dei mercati e lo sviluppo tumultuoso dei paesi extraeuropei ha invece causato ricorrenti crisi di mercato che diventano sempre più gravi e stanno alla base della volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli che riscontriamo ormai costantemente.
Proprio nel definire questa volatilità una delle peggiori iatture dell’agricoltura europea i relatori si sono trovati nuovamente fra loro in sintonia, diffidando chiunque ritenga che brusche impennate dei prezzi di vendita possano essere un bene, dal pensarlo, in quanto esse rappresentano, soprattutto per gli anelli deboli della filiera, gli agricoltori in primis, solo un volano per la riduzione dei margini netti di guadagno a causa dell’impossibilità di effettuare qualunque indispensabile programmazione degli investimenti e dell’ aumento dei costi dei fattori produttivi, sempre più che proporzionale e quasi mai reversibile. Gli errori e gli anacronismi della Commissione, purtroppo, si ripetono ormai da anni con frequenza sempre maggiore. Sono dovuti, verosimilmente, al distacco del legislatore dalla realtà produttiva, alla necessità di mediare fra le esigenze di tanti paesi (con il prossimo ingresso della Croazia la Comunità conterà ben 28 membri) e soprattutto alle spinte spesse volte irrazionali della società europea che in modo ondivago non riesce a comprendere il fondamentale ed imprescindibile ruolo produttivo, non a caso definito primario, dell’agricoltura in ogni contestoed in ogni paese, anche il più ricco. Spesso si vuole sostenere l’assoluto primato delle esigenze ambientali su quelle produttive (facile a pancia piena). Lasciamo pure agli scienziati e forse ai filosofi la definizione e la ricerca di soluzione del problema , rileviamo però che la politica, quando crede o afferma di affrontare il problema, utilizza sempre gli strumenti più facili, più demagogici più d’immagine, spesso assolutamente inadeguati.
Il greening ad esempio: questa misura considerata dal commissario Ciolos e dai suoi collaboratori il cuore della riforma rappresentauna misura sballata, costosa per il comparto e altamente contraddittoria. Sfugge veramente il senso di rotazioni obbligatorie in determinate realtà produttive e soprattutto il 7% di aree a “focus ecologico”, in pratica un set aside obbligatorio in presenza di una conclamata carenza mondiale di prodotto.
Anche osservatori estranei al mondo agricolo hanno ormai capito (e lo dichiarano ed agiscono di conseguenza) che la produzione alimentare è e sarà il nodo cruciale del presente e del prossimo futuro. E’ notizia di queste settimane che Bill Gates, fondatore di Microsoft, nella sua veste di presidente d