In breve del 15 Aprile 2014

15/04/2014

Un piano per le proteine vegetali
Dipendiamo (troppo) dall’estero per l’approvvigionamento di proteine vegetali e, purtroppo, ce ne accorgiamo quando i prezzi internazionali si impennano, com’è successo per la soia nel 2012. Le colture proteiche in Europa – scrive Terra e Vita - occupano solo il 3% dei terreni coltivabili e forniscono solo il 30% delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell'UE, con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all'aumento di tale deficit. La nuova Pac prevede un sostegno per rilanciare le proteine vegetali; un 2% dell’aiuto accoppiato potrà essere riservato alle colture proteiche.


Stop alle rendite parassitarie! (ez)
 “L'Italia toglierà i contributi agricoli a banche, assicurazioni, società immobiliari ed enti pubblici. Si tratta di circa 3000 soggetti che rappresentano lo 0,2% della platea dei beneficiari ma che in questi anni hanno assorbito il 15% del sostegno all'agricoltura”. Lo ha affermato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina.

La dichiarazione incontrerà senz'altro il favore della Coldiretti. “Ci auguriamo che in questo momento difficile per il Paese – sosteneva all’inizio di aprile Coldiretti - nessuno abbia la follia di mantenere questi insostenibili privilegi e ci si impegni invece per concentrare le poche risorse disponibili a chi vive e lavora in agricoltura per il ruolo ambientale, economico e sociale che svolge per il Paese … La lotta a tutte le rendite sembra finalmente rientrata nell’agenda della buona politica”.

La strategia comunicativa di Coldiretti si rivela efficace. Dice in sostanza: difendiamo il piccolo agricoltore, proteggendolo da chi vive di rendita alle sue spalle. Individuato il nemico da combattere la Coldiretti assurge al ruolo di eroe: se la politica capirà il messaggio il bene trionferà e il male verrà sconfitto. Le favole buone piacciono sempre.

Peccato che anche se si toglieranno gli aiuti ai “cattivi” la situazione non migliorerà. Vediamo perché, provando a sviluppare un ragionamento “non allineato”  e sicuramente impopolare, che – ci scommettiamo - attirerà un mare di critiche.

Il principio di Coldiretti, che trova sostenitori a livello trasversale in tutto il mondo politico e in larghe fasce del mondo agricolo - a cui non par vero di aver individuato la causa di tutti i mali che affliggono il settore primario  - pare a prima vista logico e coerente: gli aiuti per l’agricoltura devono andare solo a chi vive di agricoltura.

C’è però un altro aspetto: gli aiuti per l’agricoltura devono servire anche alla collettività, che paga con tasse e tributi i sostegni all’agricoltura e che deve trarre un vantaggio da questo impiego cospicuo di risorse pubbliche.

Che l’ambiente venga migliorato grazie a imprese piccole o grandi non fa molta differenza per la collettività. Che si creino posti di lavoro con l’impegno di grandi aziende o con il lavoro di tanti piccoli imprenditori non fa molta differenza. A meno che non si vogliano mettere fuorilegge le imprese strutturate e determinate a crescere. Se l’obiettivo è sostenere l’impresa che vive di agricoltura e che crea lavoro, occupazione e reddito, non è poi così importante chi è il soggetto che esercita l’attività agricola, a condizione che l’imprenditore sia in regola con la legge, che retribuisca correttamente i prestatori d’opera e che paghi le tasse. Se le imprese agricole sono imprenditori agricoli singoli o associati, società di capitali o grandi gruppi, non crediamo che sia molto importante ai fini dello sviluppo dell’agricoltura, del lavoro, dell’occupazione e della produzione di ricchezza. A meno che non si voglia a tutti i costi combattere chi è grande per cercare (sbagliando) di sostenere chi è piccolo, o cercare di distruggere chi è forte per far spazio a chi è debole. I deboli devono rafforzarsi e i piccoli devono crescere, così come i poveri devono cercare di arricchirsi: è doveroso aiutarli – sempre che vogliano farsi aiutare - ma è sbagliato pensare che, togliendo di mezzo i forti e i ricchi, i deboli, solo per questo, prospereranno.  

Ciò che conta è l’impresa, che per svilupparsi ha bisogno di essere organizzata, forte e competitiva. L’impresa per stare sul mercato e consolidarsi è obbligata a crescere, pena la sua scomparsa. L’idea di un mondo contadino da proteggere contro enti pubblici, banche, assicurazioni, società immobiliari, multinazionali e via dicendo può anche incantare gli sprovveduti. L’agricoltura non ha bisogno di paladini difensori dei deboli e degli oppressi: ha bisogno di regole certe, di minor burocrazia, di aiuti diretti e non intermediati, di sostegni per l’esportazione e l’internazionalizzazione dei mercati, di una fiscalità equa.

Togliere gli aiuti alle imprese il cui capitale sociale è detenuto da banche e assicurazioni (che tra l’altro non sono entità astratte ma hanno azionisti pubblici e privati), società immobiliari, enti pubblici e via di seguito con l’elenco dei “cattivi” per destinarli ai piccoli agricoltori non risolverà il problema della frammentazione fondiaria, della polverizzazione aziendale, dell’inadeguatezza della rete irrigua, della carenza di capacità imprenditoriale, della scarsa possibilità di incidere sui mercati mondiali.

Oggi il nemico è stato individuato con un primo elenco di “cattivi”: la lista potrà allungarsi con le aziende che incassano somme cospicue di contributi, con gli imprenditori che hanno un reddito oltre un certo limite, con chi opera in zone avvantaggiate …

Così facendo si migliorerà la distribuzione della ricchezza o, se preferite, si elimineranno le rendite parassitarie; entrambi i concetti sono cari a un certo tipo di cultura. Il fatto è che per distribuire ricchezza occorre prima crearla e per produrla bisogna essere bravi. E non “fortunati”.

Combattendo le “rendite parassitarie” si focalizzerà l’attenzione su un nuovo nemico che andrà ad aggiungersi ai tanti cattivi già in circolazione: ai sostenitori degli Ogm,  ai distruttori della biodiversità, a chi pratica l’allevamento su basi industriali, a chi ha scoperto la validità delle energie agricole rinnovabili... Concentrando l’attenzione sui nuovi nemici si trascureranno gli obiettivi importanti, sui quali invece è necessario impegnarsi: il miglioramento della capacità imprenditoriale, la riduzione dei costi di produzione, il dialogo tra i diversi soggetti che operano a livello produttivo e commerciale per la razionalizzazione della filiera.

Che un’agricoltura arretrata faccia comodo a molti è un dato di fatto, ma chi vuole  rappresentare correttamente il mondo agricolo e le imprese che vogliono vivere di agricoltura deve guardare in faccia la realtà e agire di conseguenza. La politica ha grandi responsabilità, anche perché oggi va per la maggiore un'informazione che non ha più tempo, mezzi e voglia di indagare a fondo la realtà delle questioni: così si diffonde l'idea di un settore agricolo ancorato al medioevo, nostalgico e suggestivo, ma destinato nel breve periodo al disastro produttivo e commerciale.      


Il Mipaaf propone #campolibero
#campolibero è il piano di azioni per semplificazioni, lavoro, competitività e sicurezza nell'agroalimentare definito dal Ministero delle Politiche agricole e presentato dal Governo. Sono state individuate 18 misure, che si possono leggere sul sito www.politicheagricole.it  

Il link https://dl.dropboxusercontent.com/u/55109090/CAMPOLIBERO_slide.pdf vi porta direttamente alle slides elaborate dal Ministero che potrete scaricare e consultare successivamente. Quanto definito finora è solo la base di partenza di un piano in cui saranno incluse proposte e contributi provenienti da tutti i soggetti che vorranno contribuire. Si tratta di un’opportunità importante di partecipazione. Per questo potete inviare il vostro contributo a campolibero@mpaaf.gov.it entro il 30 aprile prossimo.

 
Il mercato dei cereali e della soia
Le quotazioni del frumento tenero nazionale continuano ad indebolirsi. A Milano il calo per il panificabile è stato di 3 euro/t (224 euro/t), a Bologna di 4 euro/t (212,50 euro/t). La stasi del mercato si riflette anche sui sottoprodotti, praticamente fermi dopo il recupero degli scorsi mesi, e sulle farine, che hanno registrato a Bologna un calo di 5 euro/t.

Sui mercati a termine non si segnalano particolari movimenti. Il rapporto Usda pubblicato venerdì mette in evidenza un calo dei consumi zootecnici soprattutto in Cina e un lieve incremento delle previsioni di raccolto, che porteranno a un incremento delle scorte di 2,9 milioni di tonnellate.

Di conseguenza il future di maggio del Cbot ha chiuso venerdì in leggero calo rispetto all’inizio della settimana (660,2 cent/bushel). A Parigi il future di maggio ha chiuso in rialzo a 209,75 euro/t; una possibile spiegazione è alcuni operatori continuano a comprare per coprirsi dai rischi del breve periodo, anche perché le scadenze successive valgono circa 200 euro/t. Sul mercato fisico non c’è molto da segnalare. Il prezzo fob Rouen venerdì era di 203 euro/t.

Come il frumento tenero, anche il mais attraversa una fase di mercato debole. Il mais nazionale torna definitivamente sotto la soglia dei 200 euro/t. A Milano il calo è stato di 3 euro/t (198,50 euro/t), a Bologna di 5 euro/t (196 euro/t).

A Chicago (future con scadenza maggio) il mercato è debole, ma i cali sono contenuti, nonostante la Cina abbia annullato contratti per 1,45 milioni di tonnellate di mais giudicato non idoneo perché ogm. Venerdì la chiusura è stata di 498,4 cent/bushel.

In controtendenza il Matif (future di giugno), dove venerdì la quotazione ha chiuso a 187 euro/t. Stabile il mercato fisico francese (180 euro/t fob Bordeaux).

La campagna di commercializzazione dell’orzo è agli sgoccioli e l’interesse degli acquirenti è veramente ridotto al minimo. A Milano (213 euro/t) e a Bologna (208 euro/t) l’orzo nazionale ha perso 3 euro/t.

A Rouen l’orzo foraggiero francese è fermo a 168 euro/t. Le semine primaverili in Francia e in Ucraina sono ormai terminate, e nonostante qualche timore per il clima molto secco non si segnalano particolari problemi.

Per i semi di soia il mercato ha cambiato decisamente rotta. I rialzi di marzo hanno sicuramente motivato qualche agricoltore in più a seminare soia, ma come era prevedibile gli aumenti erano solo momentanei.

A Chicago (future di maggio) la chiusura di venerdì è stata di 1.463 cent/bushel, in calo rispetto di 10 cent rispetto al venerdì precedente. Sul mercato nazionale, restano invariati i semi nazionali (Milano 473,50 euro/t, Bologna 467,50 euro/t), ma cala notevolmente (-5-10 euro/t) la merce estera.

Per quanto riguarda il colza, il Matif ha chiuso venerdì a 417 euro/t, con un incremento di 7 euro/t rispetto al venerdì precedente, dopo una settimana altalenante.

Per il riso mercato stabile alla Borsa Merci di Vercelli, con il Roma che è quotato da 650 a 670 euro/t, mentre i prezzi dell’Arborio e del Carnaroli sono fissati da 680 a 720 euro. In base alle rilevazioni dell’Ente Risi rispetto all’anno scorso risultano minori vendite per 65.628 t (-6,3%) così ripartite: -43.904 t nel comparto dei «lunghi A», -11.948 nei «lunghi B», -5.992 nei «medi» e –3.784 nei «tondi».

Attualmente il collocamento si attesta al 67,2% della disponibilità a fronte del 63% di un anno fa. Sul fronte europeo le importazioni totali ammontano a 561.317 t, base riso lavorato, contro le 498.482 della scorsa campagna, con un incremento del 12,6%.

Dai dati forniti dalla Commissione europea – informa l’Ente Risi – si rileva che, dall’inizio della campagna di commercializzazione 2013-2014 e sino alla fine di marzo 2014, le importazioni a dazio zero dai PMA per il riso semilavorato e lavorato si sono incrementate di 56.538 t (+62%) rispetto a un anno fa.

Complessivamente l’import da questi Paesi raggiunge quota 148.401 t contro le 91.403 t dello stesso periodo della campagna precedente. L’export raggiunge quota 121.470 t, base riso lavorato, in aumento del 29,2% rispetto alla precedente campagna.

Sui mercati internazionali il Thai 100% B è quotato 395 dollari/t (-5 dollari rispetto alla settimana precedente), il Vietnam 5% quota 385 dollari (-5 dollari). Invariate le altre quotazioni. Il Cambogia 5% quota 440 dollari/t.

Le esportazioni dalla Cambogia nel primo trimestre dell’anno (84.330 t) sono in calo dell’11% rispetto a un anno fa.